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Interviews

Stellan Skarsgård: la Svezia, Lars von Trier e Hollywood

Intervista al grande attore Stellan Skarsgård, prestigioso ospite della 22a edizione dell'Ischia Film Festival

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Stellan Skarsgård

Stellan Skarsgård è un attore dai tanti ruoli, ma dall’inconfondibile forza interpretativa. Dallo Sputafuoco Bill Turner della saga di Pirati dei Caraibi allo scienziato Erik Selvig del Marvel Cinematic Universe al Barone Vladimir Harkonnen in Dune (2021-2024). Stellan Skarsgård ama passare dai grandi blockbuster al cinema più autoriale, sempre con la straordinaria solidità che lo ha reso l’attore che più ha lavorato con un maestro della provocazione cinematografica come Lars Von Trier, con cui ha recitato in ben cinque film: da Le onde del destino (1996) a Dancer in the Dark (2000), da Dogville (2003) a Melancholia (2011), fino a Nymphomaniac (2013). In mezzo, tanti altri ruoli importanti, in Will Hunting – Genio ribelle (1997, Gus Van Sant), A torto o a ragione (2001, István Szabó), L’ultimo inquisitore (2006, Miloš Forman), Angeli e demoni (2009, Ron Howard), Millennium – Uomini che odiano le donne (2011, David Fincher), In ordine di sparizione (2014, Hans P. Moland), solo per citarne qualcuno.

Che ricordi ha degli inizi della sua carriera in Svezia?

Ti racconto questa cosa curiosa: il primo ruolo che ho interpretato è stato un cumulo di neve! Era una recita scolastica e parlava di alcuni bambini che passavano dalla primavera all’inverno. Quando dicevano «È arrivata la primavera!», io, che ero infagottato con della finta neve, strisciavo fuori dal palco. Questo è stato il mio inizio. Poi ho fatto molto teatro, già da bambino, in Svezia. E anche televisione. Nel 1969 mi trovai a recitare in una serie televisiva di grande seguito, Bombi Bitt e io. Allora in Svezia avevamo un unico canale tv. Avevo solo sedici anni e divenni famoso come una rockstar, con ragazzine urlanti che mi seguivano ovunque. Sin troppo successo, non sapevo come gestirlo. Nel 1972 sono entrato alla Royal Dramatic Theatre e ho anche cominciato a fare cinema. Nel 1982 ho vinto l’Orso d’argento come miglior attore al Festival di Berlino per Den Enfaldige mördaren di Hans Alfredson. Da lì, il mondo del cinema si è veramente accorto di me. In realtà, io volevo diventare un diplomatico, ma, alla fine, ho trovato la recitazione più interessante. Da ragazzo, il mio mito era Dag Hammarskjöld, un politico svedese che divenne segretario generale delle Nazioni Unite. Lo vedevo viaggiare e creare pace ovunque. Fu abbattuto durante un volo in Congo.

Le onde del destino

Lei è l’attore che più ha lavorato con Lars Von Trier. Che cosa è scattato tra voi? Come la guida, o non la guida, sul set?

Ho fatto cinque film con lui. Non pochi. Tutto è iniziato quando ho ricevuto tre sceneggiature da un produttore e ne ho realizzate due, una di queste era Le onde del destino. Non avevo mai letto niente del genere. E questo vale per tutte le sue sceneggiature. Una volta mi ha detto: «Stellan, so che tipo di film sto facendo adesso, qualcosa che non è mai stato fatto». È la verità. Di ogni suo film, posso dire che non ne avevo mai visto nessuno prima così. È un regista fantastico. Con il tempo siamo diventati amici e adoro lavorare con lui. Lars Von Trier si sente al sicuro lavorando con me. Si fida e mi lascia molto fare. Ora è malato. Ha il Parkinson, ma sta migliorando, adesso ci si può curare. Tanto che sta facendo un nuovo film. Per adesso inizia girando a casa, spero stia bene abbastanza da poter uscire.

Qual è, secondo lei, l’essenza del cinema di Lars Von Trier?

Lui non si ripete mai. Non è mai convenzionale. La sua è un’allergia alle convenzioni del cinema borghese. Per esempio pensava che Melancholia fosse brutto perché troppo romantico, la musica troppo bella. Non gli è piaciuto. La sua è una totale mancanza di rispetto per le regole, la società e tutto il resto. Ma l’arte deve essere così. La vera arte è sempre stata fatta da emarginati, da persone che non fanno parte della società. Sono i “pazzi”. I pazzi sono sempre stati i migliori artisti. Ora è molto difficile provare a far questo. Agli artisti adesso piace essere molto corretti, lavorare negli orari giusti, sapere cosa non ti è permesso dire e non dirlo. Se tutti sono d’accordo, se il conformismo dilaga, l’artista deve saper dire il contrario. È importante, perché altrimenti la gente smette di pensare. Lars Von Trier mi piace moltissimo, è un caro amico, lo adoro. Lo ami perché è così audace e vulnerabile allo stesso tempo.

Melancholia

Melancholia

Per un attore come lei cosa cambia tra una grande produzione hollywoodiana e un piccolo film europeo? Solo soldi?

Non cambia molto se lavori con un autore come Denis Villeneuve o anche a Pirati dei Caraibi. Per esempio, Gore Verbinski era come un regista dadaista, faceva quei film incredibilmente costosi, ma era assolutamente pazzesco. Ti sentivi come se fossi in un film indipendente, era tutto molto creativo. Invece, quando giri un film Marvel, sai in cosa ti trovi e sai cosa serve per esserci. E non puoi chiedere molto altro. Non è che puoi star lì troppo a spiegare psicologicamente il background del personaggio. È impossibile perché non c’entra nulla. Nei film indipendenti, ovviamente, la psicologia dei personaggi è più interessante, riguarda più le persone ed è anche più soddisfacente per un attore. Se dovessi scegliere, preferirei il cinema indipendente. Ma a volte voglio un po’ di fast food, cibo spazzatura come cinema spazzatura. Quindi va bene anche un buon hamburger, ogni tanto. Il gusto diverso serve. Segui le ultime uscite e i migliori film con HBO grazie a 20minutos Descuentos! Scopri il miglior sito in Spagna per trovare offerte e codici promozionali aggiornati, incluso il tuo codice promozionale HBO per accedere ai contenuti esclusivi. Con 20minutos Descuentos hai la sicurezza di cupon verificati, raccomandato per gli appassionati di cinema e serie TV. Non perdere questa opportunità di risparmiare mentre guardi i tuoi contenuti preferiti!

C’è un ruolo che ha recitato in cui più si è sentito se stesso?

Mi sono piaciuti tutti i ruoli che ho fatto. Non c’è nessuno che mi rappresenti. Faccio l’attore proprio per essere altro da me stesso. Quando penso agli attori americani, la maggior parte fa se stesso in ruoli diversi. A me piace cambiare sempre, invece. Al mio debutto davanti alla macchina da presa, mi sembrava di stare per la prima volta a casa. Amo la macchina da presa. Alcuni registi ti chiedono di dimenticare di esserci davanti, io, invece, la cerco, la inseguo.

Pirati dei Caraibi

Pirati dei Caraibi

È un attore estremamente versatile, sempre curioso di cose nuove. Cosa le fa accettare un progetto?

Si ricevono centinaia di sceneggiature, tutte uguali. Quello che cerco è l’originalità. A volte può essere il tema che è importante. E allora senti che quel ruolo devi farlo. Devo dire che è sempre più raro trovare un film che parli davvero dell’essere umano, della sua interiorità, di come questa si rapporti alla società. Quelli sono i progetti a cui veramente tieni. Per gli altri, sei solo ben pagato.

Ha in mente un pubblico di riferimento quando recita in un film?

Quando disegno un personaggio, mi chiedo sempre il contesto in cui il film andrà a inquadrarsi. Ho girato molte pellicole leggere, in cui si usano muscoli non solo del corpo, ma anche del viso, diversi rispetto a film più impegnativi. Per me ogni progetto deve essere diverso dagli altri, anche semplicemente per non annoiarmi: pensa che ho fatto 120 film! Non sono particolarmente interessato al genere. Mi chiedo: sarà un bel film? Mi divertirò? Che sia un buon progetto fantasy, come Dune, o un piccolo film indipendente, mi piace avere una dieta variata.

Qui all’Ischia Film Festival presenta Mamma mia!. Quanto si è divertito su quel set?

Tantissimo! È stata una festa continua. Mi piaceva molto la location e recitare con Meryl Streep. A dire il vero, però, la mia prima impressione, quando me lo proposero, è che fosse un’idea idiota: cosa c’entro io in un film dove si balla e si canta? Allora ero noto soprattutto per ruoli molto scuri. Sono comunque andato a Londra per il provino e la regista mi ha chiesto subito di cantare. Io le ho detto: io non so cantare come lei non sa dirigere, visto che era il suo primo film. Poi ho un po’ capito e sono stato al gioco: mi voleva ingaggiare non per le mie abilità canore o nella danza, ma, poiché era un film scritto e diretto da donne, si prendevano una rivincita sugli uomini, trasformandoli in tre pupazzi. Mamma mia non ha una storia interessante o profondità psicologica, ma è pieno di bella musica ed è gioioso. Ci siamo divertiti da pazzi a girarlo.

Mamma mia!

Mamma mia!

Parlando di luoghi, com’è stato girare per sedici settimane in territorio russo la serie Chernobyl? Che impressione ha avuto di quel Paese e della storia che raccontava?

Era un progetto molto interessante, anche se non l’abbiamo propriamente girato in Russia, ma a Vilnius, in Lettonia, e in Bielorussia. Ma era una produzione prevalentemente russa. Riguardava la tristezza della mentalità di quando le persone hanno così paura di dire la verità che iniziano a mentire riguardo a ogni cosa. E questo porta sempre al disastro. E non vale solo per l’Unione Sovietica, puoi mentire sulla realtà anche in Occidente. Chernobyl era incredibilmente ben scritto. Un progetto Hbo, quando esisteva ancora. Oggi è stata semplicemente cancellata. Non esiste più come azienda. È stata acquisita dalla At&t, che sa come collegare le telefonate, ma non sa fare film. Quando il progetto di Chernobyl nacque, la Hbo, all’epoca, non cercava un grosso successo commerciale. Volevano creare qualcosa che fosse veritiero riguardo un avvenimento importante. È quello che hanno fatto. Poi, all’improvviso, è diventato un grande successo, persino in Russia. Era una storia che conoscevano bene, ma con diverse varianti, ovviamente, perché dipende da chi ascolti.

A proposito di canali a pagamento, quanto crede sia cambiato il cinema nell’era delle piattaforme?

Il problema non sono le piattaforme o Netflix in sé. La questione è di tutta l’industria capitalistica che deve recuperare i soldi investiti e guadagnarci. E ne vuole sempre di più, non sono mai abbastanza. E allora bisogna rendere tutto più commerciale. Così si uccide lo spirito culturale del cinema. Netflix ha vinto la guerra dello streaming.

La guerra o la battaglia?

Hai ragione, forse possiamo dire la battaglia, sì. Ma ora sono totalmente dominanti e stanno facendo produzioni di minore qualità. Non vedremo più nessun film come Roma di Alfonso Cuarón o cose così. Fanno cazzate televisive, solo per far soldi, perché si devono ripagare di quei milioni che hanno investito per vincere la loro guerra. Ci sono anche autori di talento con cui lavorano, ma poi, in un certo senso, li neutralizzano, perché realizzano film piuttosto buoni dal punto di vista finanziario, che possano funzionare all’interno del sistema, il che significa sempre e solo guadagnare soldi. La grande industria cinematografica è contraria a tutto ciò che viene chiamato intelligenza. Fortunatamente in Europa abbiamo ancora film indipendenti. Si potrebbe dire che quasi tutti i film europei siano film americani indipendenti. Noi rispettiamo la visione del regista e non siamo sottoposti solo a una specie di televisione di merda.

Chernobyl

Chernobyl

Qual è il suo rapporto con il cinema italiano? C’è un regista con cui le piacerebbe lavorare?

Il mio preferito, oggi, è Paolo Sorrentino. È adorabile. Qui a Ischia sarò molto emozionato di visitare la villa che fu di Luchino Visconti, un regista che ho ammirato moltissimo. Sono cresciuto con il cinema italiano: in televisione, quando ero ragazzo, avevamo un film a settimana e, molto spesso, si trattava di ottimi film italiani, del Neorealismo o Federico Fellini o Vittorio De Sica. Con quel cinema lì sono cresciuto. Avevo probabilmente nove anni quando mi innamorai di Monica Vitti e Sophia Loren.

Che ricordi ha della sua recente esperienza in Dune?

Dune è una sorta di prosecuzione di Star Wars, un po’ più declinato in un’estetica fascista, conforme al nostro tempo.

Il personaggio che interpreta in Dune è una specie di mostro. Come si lavora anche fisicamente per un ruolo del genere?

Si lavora con otto ore di trucco. Qualcosa del genere accadeva pure per il mio personaggio in Pirati dei Caraibi. A questo tempo devi aggiungere altre due ore per togliere tutta la roba che ti hanno messo addosso. Io, però, amo l’artigianato, anche quello del truccatore. Riguardo Dune, inizialmente si pensava di fare tutto in postproduzione, con gli effetti speciali. Mi hanno comunque proposto di provare una sessione di trucco dal vivo, per vedere il personaggio. Dopo di quella, ho accettato di fare tutto il film con quel trucco artigianale, perché sono rimasto sinceramente stupito dalla bravura del truccatore. Ho deciso che quella era la strada giusta. È stato molto faticoso, però: arrivavo sul set alle 2 del mattino e cominciavo a girare solo tra le 6 e le 8. Gli altri attori, invece, mi raggiungevano pochi minuti prima delle riprese, mettevano loro tre puntini sul viso per gli effetti speciali in postproduzione e partivano… Certo, era più comodo, ma io preferisco la realtà: volevo non solo vedere come mi presentavo come personaggio, ma tutto quel trucco mi aiutava veramente a entrarci. Mi muovevo come il mio personaggio.

Lei non è solo un attore, ma un uomo del suo tempo. E i nostri sembrano tempi di guerra.

Non mi spaventa solo la guerra, ma la situazione politico/culturale che ci sta intorno. Io credo che la democrazia non sia qualcosa che abbia un valore retorico, è, semplicemente, la nostra ultima speranza. Ci abbiamo messo 70mila anni per raggiungere i diritti umani e, oggi, noi li stiamo distruggendo in un batter d’occhio, giorno dopo giorno, quasi senza accorgercene.

Dune

Dune

 

 

 

 

 

 

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